Approccio medico all’allevamento a mano degli psittaciformi  

L’allevamento a mano è la più comune pratica messa in atto in tutto il mondo per crescere i pulli di Psittaciformi. Questa metodica agevola sia il mercato del “pet” [ Speer, 2007] sia la conservazione [ Brightsmith et al., 2005 ; Groffen et al., 2008 ]. Nonostante ciò, l’allevamento a mano dei pappagalli crea spesso molte diatribe tra gli amatori di queste specie e, purtroppo, spesso ci troviamo ad assistere alla morte di molti nidiacei causata proprio da questa pratica.  

I pulli delle specie facenti parte dell’ordine “ Psittaciformes”  

La caratteristica che hanno in comune tutte le circa 360 specie facenti parte di quest’ordine di uccelli è quella di mettere al mondo dei pulli “nidicoli” o “altriciali” ; ciò significa che la schiusa avviene in una fase molto precoce dello sviluppo. Di conseguenza, i nidiacei di queste specie sono ciechi, tendenzialmente nudi (alcune specie sono rivestite solo da un piumino, sostituito nei giorni successivi dal piumaggio definitivo ), soggetti alle cure parentali e, di conseguenza, strettamente dipendenti della permanenza nel nido. Questo tipo di nidiacei è contrapposto ai “nidifughi” o “ precoci” , che presentano occhi aperti alla schiusa, sono rivestiti da piumaggio e sono in grado di lasciare quasi immediatamente il nido.  

(*) Medico Veterinario  

ONDULATI e PSITTACIDI 

Quasi tutti i pulli degli Psittaciformi, in natura nascono all’interno degli incavi degli alberi. Le uova sono di colore bianco, le cosiddette uova ancestrali (probabilmente, infatti, tutte le uova degli uccelli anticamente erano bianche). Il colore bianco è stato mantenuto nelle specie che nidificano al riparo dai predatori ed in nidi scuri (questo anche per aiutare la visibilità delle uova da parte dei genitori ) [Kliner R.M., 2006 ]. Le uova vengono covate per un intervallo di tempo compreso tra i 16 ed i 29 giorni, con variazioni dipendenti della specie. Il momento in cui i nidiacei abbandonano il nido e compiono il primo volo è definito “involo “ e nei pappagalli avviene tra i 30 giorni ed i 6 mesi. I giovani, dopo l’involo, continuano ad essere strettamente dipendenti dai genitori, dai quali vengono alimentati, spesso per molti mesi.                                                                                                                        La struttura sociale dei gruppi di pappagalli varia in base alla specie. Nelle grandi Ara, per esempio, i giovani possono rimanere con i genitori per anni, aiutandoli nello svezzamento delle successive nidiate.  

L’allevamento a mano 

L’allevamento artificiale dei pappagalli può essere messo in pratica immediatamente dopo la schiusa, successivamente ad un’incubazione naturale o artificiale, oppure prelevando i pulli dal nido tra i 10 ed i 20 giorni di vita. Il primo metodo è di solito messo in pratica per aumentare la produttività delle coppie oppure, nel caso di specie molto a rischio, per cercare di controllare artificialmente tutte le prime e più critiche fasi di crescita dei pulli. Nel quotidiano commercio dei pappagalli come pet ,  la sottrazione dei nidiacei alle cure parentali intorno ai 15 giorni è il metodo più comunemente utilizzato.  

La nursery 

Per nursery si intende una zona, separata da quella adibita all’alloggiamento degli esemplari adulti, che viene esclusivamente riservata alla gestione dei giovani e dei neonati. Il transito di animali all’interno della nursery deve essere gestito rispettando tutte le norme igienico-sanitarie messe in atto per la corretta gestione di un allevamento di Psittaciformi .                                                                                                                                                                All’interno della nursery devono essere presenti delle camere calde, strutture  realizzate con materiali idonei all’accurata pulizia delle stesse, per mantenere i pulli a temperatura e umidità appropriate. La temperatura è un parametro fondamentale per mantenere la corretta motilità del gozzo e favorire il giusto incremento ponderale dei pulli .                        I nidiacei mantenuti ad una temperatura troppo bassa, infatti, utilizzeranno la propria energia per scaldarsi e, di conseguenza, la digestione sarà rallentata. Di seguito sono elencate le temperature consigliate in relazione all’età dei Pulli : 

  • Giorno 1: 36.6°C 
  • Giorni 5-12: 35-31.6°C 
  • Giorno 12- Apertura dei primi calami: 31-28°C  
  • Penne e piume che ricoprono la maggior parte del corpo : 26.5°C  
[Digney, A guide to Incubation & Handraising Parrots, ABK Publication, 1998].  

Ovviamente, questi valori risultano essere un’indicazione, in quanto possono subire variazioni in basse alla specie, al numero dei piccoli presenti all’interno della camera calda ed al metabolismo del singolo soggetto. L’osservazione dei piccoli risulta essere un parametro fondamentale. La temperatura potrà essere progressivamente diminuita all’avanzare della crescita dei pulli . L’umidità deve aggirarsi attorno al 50 %. Le camere calde “ fai da te “, o peggio l’assenza di camera calda, sono tra le prime cause di morte prematura dei giovani pappagalli in quanto, come precedentemente riportato, alloggiare un pullo all’interno di un ambiente che presenti temperatura al di sotto dei range consigliati può portare ad un rallentamento della motilità del gozzo ed a conseguente diminuzione dell’incremento ponderale, con sviluppo di problematiche gastro-intestinali secondarie.  

L’alimentazione 

Esistono in commercio diverse formule destinate all’imbecco dei pappagalli, più o meno appropriate ai corretti fabbisogni delle varie specie. La formula è venduta sotto forma di polvere solubile e deve essere preparata, ad ogni singola imbeccata, mescolando questa ad acqua potabile calda. La preparazione così ottenuta dovrà essere somministrata con una siringa sterile priva di ago o con un cucchiaio piegato ai lati ( in casi particolari, anche con un’apposita sonda destinata all’imbecco ), rigorosamente ad una temperatura compresa tra i 37.7 ed i 43.3 gradi Celsius, anche se l’optimum risulta essere 41.1 gradi Celsius [Digney, , A guide to Incubation & Handraising Parrots, ABK Publication, 1998], pena l’instaurarsi di patologie gastro-enteriche e/o metaboliche che spesso portano a morte i pulli ( vedi qui di seguito ) . La consistenza del preparato deve essere proporzionale all’età ed allo stato di salute dell’animale: per un pullo sano, regolarmente alloggiato, di circa 20 giorni, la formula deve avere consistenza pari ad uno yogurt. Anche errori commessi in questo senso possono portare a morte i pulli . Infatti, la somministrazione ripetuta di un preparato troppo liquido può portare a carenze nutrizionali, mentre uno troppo consistente può ritardare lo svuotamento gastro- intestinale, portando a disidratazione ed allo sviluppo di infezioni secondarie dovute alla fermentazione dell’alimento [Laurie J. Gage, Rebecca S. Duerr, Hand-Rearing Birds, Blackwell Publishing, 2007 ].                                     

Entrambe queste condizioni possono ritardare la crescita ed il corretto sviluppo dei pappagalli, fino ad arrivare alla morte.                                                                                                              

La frequenza di somministrazione varia in base all’età del nidiaceo. In generale, è buona norma somministrare il pasto (corrispondente al 10% del peso dell’animale ) ogniqualvolta il gozzo del pullo si svuoti del tutto, notte compresa, soprattutto quando gli animali sono molto giovani. Come precedentemente riportato, il fabbisogno nutrizionale delle specie di Psittaciformi non sempre è sovrapponibile. Per esempio, le grandi Ara ed i Cacatuidi del genere Probosciger richiedono una percentuale di grassi superiore alla norma. In bibliografia sono riportati diversi fabbisogni per i pappagalli in crescita. Secondo Wolf P. et al., (2003) la percentuale proteica relativa ai pappagalli allevati a mano deve essere pari al 21,7% quella di grassi pari all’11,3%, il calcio 0,93%, il fosforo 0,47%, magnesio, sodio e potassio rispettivamente 0,13%, 0,20% e 0,53% .                                                                             

Per confermare quanto affermato sopra riguardo a come i fabbisogni possano cambiare nelle singole specie, viene riportato uno studio di Brightdmith et al., (2010) basato sull’analisi del contenuto del gozzo di pulli di Ara macao in natura. Questo lavoro segnale i seguenti fabbisogni: proteine 23,5%; grassi 28,6; calcio 1,40% ; fosforo 0,48%, magnesio 0,36%; sodio 0,02% e potassio 0,73%. 

Patologie dell’allevamento a mano 

Le problematiche derivanti dall’allevamento a mano sono diverse e possono manifestarsi in diversi modi. Generalmente, i sintomi maggiormente riportati dai pulli di Psittaciformi in questi casi risultano essere:  

  • Apatia; 
  • Ipomotilità del gozzo; 
  • Carente incremento ponderale o perdita di peso . 

Questi sintomi possono derivare da problematiche quali errata somministrazione dell’alimento (tempistiche, densità e/o temperatura errate), agenti eziologici di tipo batterico, micotico o virale ( questi ultimi non verranno trattati in questa sede ), errata stabulazione dei pulli .  

Stasi del gozzo 

Il gozzo è una dilatazione dell’esofago, presente nella maggior parte degli uccelli, che assume la funzione di immagazzinamento del cibo. Per stasi di quest’organo si intende un’eccessiva ipomotilità che porta a mancato svuotamento del gozzo, con conseguente fermentazione dell’alimento ivi contenuto. Come precedentemente accennato, le cause di rallentamento dell’ingluvie possono derivare da un’eccessiva o errata somministrazione di alimento, da scarsa igiene, temperatura o umidità errata dalla camera calda oppure da patologie sottostanti.  

La stasi del gozzo può portare all’instaurarsi di infezioni secondarie ad opera di lieviti come Candida spp., Macrorhabdus ornithogaster [Peter H Beynon, Neil A Forbes, Martin P C Lawton, Manual of Psittacine Birds, BSAVA, 1996 ] ed anche per questo motivo è da considerare come emergenza clinica nei nidiacei di Psittaciformi. Per il trattamento di questa problematica risulta spesso necessario uno svuotamento ed un lavaggio del gozzo, oltre ad un’appropriata terapia farmacologica e ad un’adeguata idratazione tramite fluidoterapia degli animali che, quando affetti da stasi dal gozzo, risultano spesso disidratati.  

Infezioni batteriche 

I pulli appena nati sono da considerare come tendenzialmente “sterili” . Durante le prime ore di vita i batteri presenti all’interno dell’alimento che viene loro somministrato dai genitori iniziano a colonizzare l’apparato gastro-enterico dei nidiacei. I piccoli sottoposti alla pratica dell’allevamento a mano risultano essere particolarmente a rischio di colonizzazione da parte di batteri non fisiologicamente facenti parte della flora batterica caratteristica della specie e, di conseguenza, spesso patogeni [Peter H. Beynon, Neil A. Forbes, Martin P. C. Lawton, Manual of PsittacineBirds, BSAVA, 1996].  

La normale flora batteria dell’apparato gastro-enterico dei pappagalli risulta essere composta maggiormente da germi Gram- positivi come Lactobacillus spp. E Streptococcus spp. [Peter H. Beynon, Neil A. Forbes, Martin P. C. Lawton, Manual of PsittacineBirds, BSAVA, 1996]. 

La scarsa igiene della strumentazione destinata all’imbecco e della camera calda, così come la somministrazione di alimento troppo caldo o troppo freddo e la stabulazione dei pulli in ambienti troppo freddi possono rallentare la motilità del gozzo e provocare la sovra crescita di batteri patogeni. Per far fronte a queste problematiche sarà necessario effettuate una corretta terapia antibiotica, preceduta da un tampone del gozzo e da un esame batteriologico con antibiogramma.  

Ustioni e fistole del gozzo 

Inizialmente, il sintomo conseguente alla somministrazione di alimento eccessivamente caldo potrebbe essere semplicemente un rallentamento del gozzo. Successivamente, la parete di quest’organo può lentamente andare incontro a necrosi andando a creare una fistola [Peter H. Beynon, Neil A. Forbes, Martin P. C. Lawton, Manual of PsittacineBirds, BSAVA, 1996] e mettendo di conseguenza in comunicazione il gozzo con l’ambiente esterno tramite un foro, dal quale l’alimento andrà a fuoriuscire durante l’imbeccata. Questa condizione risulta essere un’emergenza clinica, in quanto può portare a disfunzioni metaboliche, sepsi, assorbimento di tossine derivanti dal tessuto necrotico e conseguente morte dei nidiacei. Per trattare le fistole del gozzo è necessaria una soluzione chirurgica tempestiva, associata ad una corretta terapia di supporto e prevenzione delle infezioni secondarie .  

di Federica Ardizzone

Il sessaggio molecolare, tutto ciò che devi sapere!

Cos’è il sessaggio molecolare? 

Il sessaggio molecolare consente di determinare il genere (maschio o femmina) di un soggetto attraverso l’estrazione e l’analisi del suo DNA. Questa tipologia di test è particolarmente utile in campo ornitologico in quanto permette di pianificare accuratamente e precocemente gli accoppiamenti, l’assortimento delle coppie, la vendita e lo scambio di soggetti. È efficace anche in quelle specie che non presentano differenze morfologiche o di comportamento fino ad una determinata età o addirittura per tutta la vita. Inoltre l’osservazione del comportamento può essere falsata da diversi fattori come: comportamenti anomali, cicli di luce che non garantiscono il raggiungimento dei corretti livelli ormonali o poco tempo a disposizione per l’osservazione dei soggetti. Il sessaggio molecolare è invece contraddistinto da una elevata affidabilità (99%) in quanto nel DNA è conservata l’informazione genetica. 

Il sessaggio può essere effettuato in modo certo solo tramite DNA? 

No, in alternativa è possibile effettuare il sessaggio endoscopico. Si tratta di un piccolo intervento chirurgico che deve essere eseguito esclusivamente da un veterinario aviario esperto, sotto anestesia. Grazie ad un piccolo taglio effettuato sul fianco del soggetto e all’inserimento di una sonda il veterinario può vedere direttamente gli organi riproduttivi del soggetto e comprenderne il sesso.  

Quali sono i vantaggi del sessaggio molecolare rispetto all’endoscopico? 

Il sessaggio tramite DNA è una metodologia non invasiva e poco traumatica per i soggetti. Gli animali non sono infatti sottoposti a stress legato a spostamento, operazione, recupero post operatorio, cicli di antibiotici, ecc. Inoltre può essere eseguita su soggetti molto giovani. Questa tipologia di analisi risulta essere poco impegnativa anche per i proprietari poiché è sufficiente prelevare alcune penne dal soggetto, inserirle in una bustina trasparente riportante specie e identificativo del soggetto e inviare il tutto al laboratorio di analisi. Tuttavia tramite il sessaggio molecolare non è possibile valutare lo stato degli organi riproduttivi ed eventuali patologie presenti.   

Su quali tipologie di campioni può essere effettuato il sessaggio molecolare? 

Casella di testoMacintosh HD:Users:paola:Desktop:IMMAGINE ARTICOLO 1.pngIl sessaggio può essere effettuato estraendo il DNA dal calamo delle penne (la parte a contatto con la pelle del soggetto) che dovrà quindi essere di almeno 3/4 millimetri e non dovrà essere tagliato o spezzato ma staccato direttamente dal soggetto. Inoltre le penne raccolte dal fondo della gabbia non sono idonee in quanto hanno perso gran parte del DNA e possono essere state contaminate col DNA di altri soggetti. 

In alternativa il DNA può essere estratto da un campione di sangue: consigliamo di recarsi da un veterinario, in quanto questo tipo di procedura è abbastanza delicata da richiedere l’esecuzione da parte di una persona esperta per evitare traumi.  

Infine è possibile estrarre il DNA anche dalla membrana dell’uovo che dovrà essere accuratamente separata dal guscio, sul quale è presente il DNA della madre, possibile fonte di contaminazione. 

A partire da quale età è possibile eseguire il sessaggio molecolare? 

L’analisi su uovo o sangue può essere effettuata fin dalla nascita mentre quella da piuma può essere effettuata dal momento in cui spuntano le prime penne in crescita. Quest’ultime, anche se più piccole, sono ricche di sangue e di cellule e di conseguenza di DNA perciò idonee per l’analisi. 

Quanti giorni sono necessari per le analisi? 

Il processo di estrazione del DNA, amplificazione, interpretazione del risultato e i relativi accertamenti  possono richiedere generalmente dai 3 ai 5 giorni lavorativi.  

Servono particolari strumentazioni per il campionamento delle penne?  

Per il campionamento non sono necessarie particolari strumentazioni: le penne possono essere prelevate e inserite in una bustina di plastica trasparente (ad esempio i sacchetti utilizzati per i surgelati). In questa fase si richiede la massima attenzione: su ogni bustina si deve riportare l’identificativo univoco del soggetto e tra un prelievo e l’altro è opportuno lavarsi le mani per evitare contaminazioni.  

Le analisi possono essere effettuate su tutte le specie? 

Macintosh HD:Users:paola:Desktop:Selezionate Fiera:gel personata.pngSì, ma specie differenti richiedono diverse metodologie e diverse interpretazioni del risultato, per questo motivo è importante che il proprietario dichiari correttamente la specie del soggetto.  

Casella di testoI laboratori di analisi sono in possesso di alcuni database contenenti le sequenze di DNA maschile e femminile delle specie già analizzate. Nel caso in cui il soggetto da sottoporre ad analisi appartenga ad una specie mai analizzata, è sufficiente inviare alcune penne di soggetti di sesso maschile e femminile certi (ad esempio i genitori) con i quali confrontare il risultato del soggetto di genere ignoto. 

Ci sono altre analisi che possono essere effettuate con il test del DNA? 

In campo aviario, altre tipologie di analisi permettono di rintracciare la presenza di DNA di alcuni batteri o virus. Tra i test più comuni ricordiamo quelli Polyomavirus (APV), Circovirus (BFDV) e Chlamydia. Grazie a questi test è possibile individuare anche i portatori sani, quei soggetti che non mostrano sintomi evidenti ma che possono fungere da tramite per altri soggetti più sensibili. In caso di risultato positivo è consigliabile porre il soggetto in quarantena e rivolgersi ad un veterinario.  

Hai altre domande o vuoi conoscere il sesso dei tuo soggetti? Contattaci al numero 02 6448 3386 o via Whatsapp al numero 371 180 9921.  

MACRORHABDIOSI o “Megabatteriosi” 

A metà strada tra il regno bacteria e quello dei miceti si trova un microrganismo capace di causare disfunzioni in gran parte delle specie ornamentali allevate : Macrorhabdus ornithogaster. 

Macrorhabdus ornithogaster presenta una morfologia ad asta stretta e lunga con le estremità arrotondate. Le sue misure variano da 2 μm a 4 μm di larghezza e da 20 μm a 80 μm di lunghezza; colonizza l’istmo che è la giunzione tra proventricolo e ventricolo dei volatili; è un gram-positivo, anche se non tutti gli organismi si colorano, infatti, in alcuni organismi si colora solo il citoplasma a causa della parete cellulare più spessa. Macrorhabdus ornithogaster è unico del suo genere ed è stato definito inizialmente come un lievito, colorato con PAS e con coloranti per funghi da Dorrestein GM – Hargreaves RC – 1980-81. Ricerche successive hanno portato a concludere che fosse un batterio poiché non furono trovati nuclei o organelli tipici di cellule eucariotiche (Van Herck, 1984). Nel 1990 Scanlan e Graham, pubblicarono un articolo che definiva il cosidetto “megabacterium” come un anaerobio facoltativo capace di proliferare in ambienti ad alte concentrazioni di biossido di carbonio ed era sensibile a molti antibiotici. Successivamente altri studi portarono ad ipotizzare che i “megabacteria” potessero infettare i mammiferi ma queste teorie si dimostrarono errate (Rossi G., 2000; Huckzermyer, 2000; Cooke, 2000). 

Filippich e Perry (1993) dimostrarono che il patogeno non era suscettibile agli antibiotici mentre era sensibile alla amfotericina B. La prova che il “megabatterio” potesse essere un lievito risale al 2000 da studi condotti in Germania (Ravelhofer and Rotheneder, 2000). Tali studi hanno dimostrato, con l’ausilio della microscopia elettronica, la presenza al suo interno di DNA ribosomiale eucariotico. Successivi studi condotti da Tomaszewski (2003) che ha codificato l’RNA ribosomiale, da Hannafusa et al. (2007) e da Phalen (2014) mediante l’utilizzo di analisi filogenetiche e definendo i caratteri metabolici, hanno provato che non si trattava di un batterio bensì di un lievito anamorfico ascomicete a cui venne dato il nome Macrorhabdus ornithogaster (dal Greco, Macrorhabdus ornithogaster che significa “lunga asta proveniente dallo stomaco di uccello”). 

Figura 1 M.ornithogaster (freccia nera) visualizzato tramite color. Gram. 

Macrorhabdus ornithogaster ha distribuzione mondiale e ha come ospiti sia uccelli selvatici che domestici. Infezioni si ritrovano più frequentemente in pappagalli e fringillidi (Dorrestein et al. 1980; Simpson, 1992; Ravelhofer et al. 1998; Baker, 1985; Filippich et al. 1998). La copresenza di M. ornithogaster con determinati fattori può causare patologia mentre in altri casi no. Ad esempio, i volatili di un allevamento caratterizzato da sovraffollamento e cattive condizioni igieniche, in presenza di M. ornithogaster potrebbero presentare manifestazione di malattia, di contro gli animali di un allevamento caratterizzato dall’assenza di queste condizioni, potrebbero non avere riscontri patologici (Filippich et al. 1993; Antinoff et al. 2004; Filippich et al. 1998).  

Esistono due forme di malattia: una forma acuta e una forma cronica. La prima è caratterizzata da soggetti apparentemente sani che all’improvviso smettono di nutrirsi, presentano rigurgito con tracce di sangue e arrivano a morte in 1-2 giorni. Questa forma si ritrova soprattutto nei cosiddetti “parrotlets” e pappagalli ondulati (Filippich et al. 1993; Phalen et al. 2002). La seconda forma si esprime con appetito conservato, rigurgito frequente e presenza caratteristica di saliva fresca o secca sul capo degli animali colpiti. Inoltre, ci può essere diarrea con o senza melena e presenza di semi indigeriti, perdita di peso, anemia ed eventualmente morte dei soggetti colpiti (Baker, 1985; Filippich et al. 1993). Radiografie con contrasto hanno mostrato dilatazione del proventricolo e aumento del tempo di transito delle ingesta. Questa forma si ritrova soprattutto nei fringillidi. La mortalità varia dal 40% all’ 80% nelle popolazioni colpite (Huchzermeyer et al. 1993). 

 La diagnosi in vita si effettua comunemente attraverso l’esame microscopico delle feci. Come metodo gold-standard, è utilizzata la colorazione di Gram su una soluzione di feci diluita con acqua distillata. Altro metodo è la ricerca di DNA con la PCR (Phalen et al. 2005). Altra tecnica, più recente, è l’utilizzo del Mini-FLOTAC (Borrelli et al. 2015), i cui vantaggi sono la rapidità di esecuzione e la possibilità di diagnosticare contemporaneamente più patogeni. La diagnosi post-mortem viene effettuata mediante l’esame del proventricolo che può apparire ingrossato con la presenza di evidenti aree iperemiche sulla mucosa. Il proventricolo può essere adagiato su un vetrino in modo da ottenere uno stampo della mucosa che potrà fornire indicazioni sullo stato interno dell’organo previa colorazione di Gram.  

Figura 2 M.ornithogaster (freccia nera) e Isospora spp (freccia bianca), visualizzati con Mini-FLOTAC 

Inizialmente come terapia veniva utilizzata la nistatina, ma la sua efficacia non fu confermata da ricerche successive (Filippich et al. 1993). 

Il fluconazolo ha dato buoni risultati in polli infettati sperimentalmente, questo però, nei pappagalli ondulati, ha mostrato effetti tossici e scarso effetto sul patogeno. 

L’amfotericina B risulta l’unica molecola efficace contro M. ornithogaster (Phalen et al. 2002). Il trattamento si basa sull’impiego dell’antifungino alla dose di 100 mg/kg per gavage 2 volte al giorno per 30 giorni. Disciolta in acqua gli effetti sono scarsi. In Australia è stato identificato un ceppo di M. ornithogaster resistente all’amfotericina B. 

Anche il sodio benzoato, il potassio benzoato e il sorbato di sodio hanno mostrato una buona efficacia (Bradley et al. 2005) sebbene siano risultati altamente tossici (Hoppes, 2012). 

Benefici sono stati ottenuti anche con la somministrazione di Lactobacillus sp (Lublin, 1998). 

Dr Violante ROMANO 

Dr Stefano D’ORAZIO