A metà strada tra il regno bacteria e quello dei miceti si trova un microrganismo capace di causare disfunzioni in gran parte delle specie ornamentali allevate : Macrorhabdus ornithogaster.

Macrorhabdus ornithogaster presenta una morfologia ad asta stretta e lunga con le estremità arrotondate. Le sue misure variano da 2 μm a 4 μm di larghezza e da 20 μm a 80 μm di lunghezza; colonizza l’istmo che è la giunzione tra proventricolo e ventricolo dei volatili; è un gram-positivo, anche se non tutti gli organismi si colorano, infatti, in alcuni organismi si colora solo il citoplasma a causa della parete cellulare più spessa. Macrorhabdus ornithogaster è unico del suo genere ed è stato definito inizialmente come un lievito, colorato con PAS e con coloranti per funghi da Dorrestein GM – Hargreaves RC – 1980-81. Ricerche successive hanno portato a concludere che fosse un batterio poiché non furono trovati nuclei o organelli tipici di cellule eucariotiche (Van Herck, 1984). Nel 1990 Scanlan e Graham, pubblicarono un articolo che definiva il cosidetto “megabacterium” come un anaerobio facoltativo capace di proliferare in ambienti ad alte concentrazioni di biossido di carbonio ed era sensibile a molti antibiotici. Successivamente altri studi portarono ad ipotizzare che i “megabacteria” potessero infettare i mammiferi ma queste teorie si dimostrarono errate (Rossi G., 2000; Huckzermyer, 2000; Cooke, 2000).
Filippich e Perry (1993) dimostrarono che il patogeno non era suscettibile agli antibiotici mentre era sensibile alla amfotericina B. La prova che il “megabatterio” potesse essere un lievito risale al 2000 da studi condotti in Germania (Ravelhofer and Rotheneder, 2000). Tali studi hanno dimostrato, con l’ausilio della microscopia elettronica, la presenza al suo interno di DNA ribosomiale eucariotico. Successivi studi condotti da Tomaszewski (2003) che ha codificato l’RNA ribosomiale, da Hannafusa et al. (2007) e da Phalen (2014) mediante l’utilizzo di analisi filogenetiche e definendo i caratteri metabolici, hanno provato che non si trattava di un batterio bensì di un lievito anamorfico ascomicete a cui venne dato il nome Macrorhabdus ornithogaster (dal Greco, Macrorhabdus ornithogaster che significa “lunga asta proveniente dallo stomaco di uccello”).

Figura 1 M.ornithogaster (freccia nera) visualizzato tramite color. Gram.
Macrorhabdus ornithogaster ha distribuzione mondiale e ha come ospiti sia uccelli selvatici che domestici. Infezioni si ritrovano più frequentemente in pappagalli e fringillidi (Dorrestein et al. 1980; Simpson, 1992; Ravelhofer et al. 1998; Baker, 1985; Filippich et al. 1998). La copresenza di M. ornithogaster con determinati fattori può causare patologia mentre in altri casi no. Ad esempio, i volatili di un allevamento caratterizzato da sovraffollamento e cattive condizioni igieniche, in presenza di M. ornithogaster potrebbero presentare manifestazione di malattia, di contro gli animali di un allevamento caratterizzato dall’assenza di queste condizioni, potrebbero non avere riscontri patologici (Filippich et al. 1993; Antinoff et al. 2004; Filippich et al. 1998).
Esistono due forme di malattia: una forma acuta e una forma cronica. La prima è caratterizzata da soggetti apparentemente sani che all’improvviso smettono di nutrirsi, presentano rigurgito con tracce di sangue e arrivano a morte in 1-2 giorni. Questa forma si ritrova soprattutto nei cosiddetti “parrotlets” e pappagalli ondulati (Filippich et al. 1993; Phalen et al. 2002). La seconda forma si esprime con appetito conservato, rigurgito frequente e presenza caratteristica di saliva fresca o secca sul capo degli animali colpiti. Inoltre, ci può essere diarrea con o senza melena e presenza di semi indigeriti, perdita di peso, anemia ed eventualmente morte dei soggetti colpiti (Baker, 1985; Filippich et al. 1993). Radiografie con contrasto hanno mostrato dilatazione del proventricolo e aumento del tempo di transito delle ingesta. Questa forma si ritrova soprattutto nei fringillidi. La mortalità varia dal 40% all’ 80% nelle popolazioni colpite (Huchzermeyer et al. 1993).
La diagnosi in vita si effettua comunemente attraverso l’esame microscopico delle feci. Come metodo gold-standard, è utilizzata la colorazione di Gram su una soluzione di feci diluita con acqua distillata. Altro metodo è la ricerca di DNA con la PCR (Phalen et al. 2005). Altra tecnica, più recente, è l’utilizzo del Mini-FLOTAC (Borrelli et al. 2015), i cui vantaggi sono la rapidità di esecuzione e la possibilità di diagnosticare contemporaneamente più patogeni. La diagnosi post-mortem viene effettuata mediante l’esame del proventricolo che può apparire ingrossato con la presenza di evidenti aree iperemiche sulla mucosa. Il proventricolo può essere adagiato su un vetrino in modo da ottenere uno stampo della mucosa che potrà fornire indicazioni sullo stato interno dell’organo previa colorazione di Gram.
Figura 2 M.ornithogaster (freccia nera) e Isospora spp (freccia bianca), visualizzati con Mini-FLOTAC

Inizialmente come terapia veniva utilizzata la nistatina, ma la sua efficacia non fu confermata da ricerche successive (Filippich et al. 1993).
Il fluconazolo ha dato buoni risultati in polli infettati sperimentalmente, questo però, nei pappagalli ondulati, ha mostrato effetti tossici e scarso effetto sul patogeno.
L’amfotericina B risulta l’unica molecola efficace contro M. ornithogaster (Phalen et al. 2002). Il trattamento si basa sull’impiego dell’antifungino alla dose di 100 mg/kg per gavage 2 volte al giorno per 30 giorni. Disciolta in acqua gli effetti sono scarsi. In Australia è stato identificato un ceppo di M. ornithogaster resistente all’amfotericina B.
Anche il sodio benzoato, il potassio benzoato e il sorbato di sodio hanno mostrato una buona efficacia (Bradley et al. 2005) sebbene siano risultati altamente tossici (Hoppes, 2012).
Benefici sono stati ottenuti anche con la somministrazione di Lactobacillus sp (Lublin, 1998).
Dr Violante ROMANO
Dr Stefano D’ORAZIO